Tempo nuovo


Al lettore
La poesia non è nata sulla Terra
viene da qualche lontano pianeta
stele misteriosa
portata dalle comete
Le giriamo intorno stupiti
senza sapere cos’è
né se pur essa un giorno
scomparirà con noi
O se il suo canto
risuonerà ancora
sulla Terra deserta
forse solo un fruscio
da qualche vecchio disco
per l’orecchio di un dio.

Il vicino
Gli siedo accanto sulla panchina
fammi posto e lui non s’adonta
scorre il fiume scivola lento
nel mistero della notte profonda.
Passano amanti allacciati per sempre
ai loro istanti senza ritorno
sull’altra panchina un barbone si sdraia
attende in pace che si faccia giorno.
Si ameranno davvero gli amanti
e domani sarà un altro giorno?
M’assale l’angoscia e le ore
una ad una le girano intorno.
Riflesse nel fiume le stelle
ne seguono l’inutile moto
tutto è uguale, lo sa bene il compagno
di panchina che guarda nel vuoto.
M’accosto fraterno e presago
gli tocco la rigida mano
io dalla vita lui dalla morte guardiamo
questo scorrere monotono e vano.

La domanda
Chi vorrà dare risposta
a quel vecchio demente
che fa domande a ognuno che incontra
e dopo sé
fa le persone sgomente?
Il bimbo balbetta
il giovane va di fretta
l’adulto è prudente:
«Non t’hanno insegnato
che fare domande
non è consigliato?»
Lasciata la strada s’inoltra
nel sogno oscuro d’una foresta.
Dolcemente canta un uccello
da una sua verde finestra.
Nessuno risponde
a quell’anima mesta.
Chinato sull’acque
di un rapido fiume
se il sole al tramonto
rispecchia il suo lume
gli sembra una traccia
ma presto si spegne
col sole il barlume.
Dal mare grande
profondo e azzurro
giunge con l’alba
quasi un sussurro
ma un nero vento
sconvolge il mare
confonde il messaggio
che non si può decifrare.
Le porte d’un tempio
lo invitano a entrare
un prete lo accoglie
accanto all’altare.
Lui chiede «C’è Dio?»
«È uscito, spiacente,
lo attendo anche io».

Lazzaro
Ecco, ti ho resuscitato.
Che aria sperduta, Lazzaro,
come sai di sepolcro!
Ancora serbi negli occhi
un bianco di lapidi
il tuo volto è una maschera
che fissa nel vuoto. Le dande
in cui ti hanno avvolto
ricordo beffardo d’infanzia
ahi senza giochi, senza speranza.
Ti ho disturbato
dolce Pierrot, fratello mio?
Te ne stavi rannicchiato nella tomba
finalmente al riparo
dall’umana sventura.
Perdonami
d’averti condannato a un’altra vita
a un’altra lacrimata sepoltura.

Tempo nuovo
È il tempo nuovo quando
un medico molto professionale legge
nelle lastre le ombre
del mio destino o un’eco
grafia va snidando col suono
un’immagine funesta nel
buio dedalo dell’intestino.
Sonno profondo senza sogni per una
ben dosata anestesia
mentre un bisturi affonda indifferente
nella mia carne viva. Oh poesia!

Cronache dalla tomba
Da questo punto d’ascolto
si sente crescere l’erba
schiudersi i fiori nei campi
l’effimera vita stormire
i suoi dolci richiami.
Dolgono le giunture delle ossa
nell’oscurità le parole
giungono vuote
echi muti i ricordi.
Nella terra che mi ricopre
i temporali d’estate
hanno aperto uno squarcio.
Non provo odio né amore
quaggiù l’eterno
ha un sentore di marcio.

Uomo
In ginocchio
sotto i portici
la mano tesa
un’immagine che ci rincorre
d’una squallida resa.
Guardare altrove
girare al largo
fare finta di niente
non siamo noi
in quello specchio
che mente
in quegli occhi sperduti
in quel vecchio da niente.

Padre nostro

O Dio non startene quieto
non restar muto ed inerte, o Dio.
(Salmi, 83)

Padre nostro e dei massacrati del Ruanda,
dei bambini di Baghdad e di Gaza, dei popoli
che vagano nel mondo
senza patria e senza speranza,
Padre che sei nei cieli, e in terra
tutto questo accade,
sia santificato il tuo nome
però non da quelli
che sempre lo hanno fatto
pii oppressori di popoli, affaristi
arricchiti con la frode né da quanti
benedicono costoro e te, Padre,
santificano a parole. Venga
il tuo regno e sia la pace, torni
la trepida colomba
all’Arca del tuo patto.
Donaci
il nostro pane quotidiano. Tu che nutri
gli uccelli del cielo non scordare
la pallida fiumana dei tuoi figli
in fuga dalla sete e dalla fame.
I nostri debiti
rimettici, ma tutto
quaggiù non si potrà perdonare.
Padre,
la nostra tentazione è liberarci,
da noi stessi, dal Male.

Per i bambini di Gaza
Abbiamo pianto
sul vostro popolo martoriato
sui fanciulli portati a morire
nelle camere a gas.
Abbiamo pianto
e abbiamo chiesto perdono.
Davanti al lutto dell’alba diciamo:
tutto questo non va dimenticato.
Mai avremmo creduto
che voi,
i giusti sopravvissuti,
precursori di un mondo diverso,
avreste versato il sangue
d’altri fanciulli innocenti.
Davanti al lutto dell’alba diciamo:
anche questo non va dimenticato.

Precedenze
Quando sono nato io
tu eri ancora un progetto
nella mente di Dio.
Abbi cura di te, ti raccomando.
È mio dovere precederti nell’aldilà
farti strada nel buio, incespicando.
Sorridendo rispondi
che non esiste aldilà,
che non accetti
i miei altruismi sospetti.
Insisto: è legge di natura
tocca a te, mia cara,
sospirare per me, piangere lungamente
la mia morte “immatura”.

Pollicino
Per ritrovare la casa del Padre
ho sparso parole sul mio cammino
ma il vento
le ha spazzate ed ancora
cerco il sentiero che porta al divino.

Non diremo
Scorderemo la sveglia assordante
compagna molesta dei nostri mattini
tra sbadigli che ancora protestano
contro il levarsi frettoloso del sole
Soffriremo in silenzio
la città che ci accoglie ringhiosa
gli autobus che non arrivano mai
lo smog che ci prende alla gola
Taceremo la congiura
dei cellulari impietosi
l’ossessivo navigare su internet
nelle stanze accecate dal neon
le interminabili ore trascorse
tra pratiche insensate ed uggiose
il frastornato ritorno
sotto lo sguardo smarrito del sole
dalla melma dell’orizzonte.
Di tutto questo non diremo a sera
nel nostro falansterio inospitale
ma guardandoci in viso scopriremo
d’altro non avere
di cui parlare.

Notte d’agosto
Le finestre spalancate
si contendevano la luna
muovevano ombre confuse
nel profondo delle stanze
lo scirocco ci soffiava contro
la polvere degli anni.
Saliva il silenzio con
i suoi infiniti rimandi,
le stelle pungevano a sangue
la pelle delicata del cielo.

D’inverno l’albero
D’inverno l’albero
specchia nel lago
la sua umiliata nudità.
Presto accorrerà la primavera
a rivestirlo di foglie
diritto e forte
guarderà in faccia il cielo
che scenderà tra le fronde
a riposare
la sua faticosa eternità.

Sei tu
Se vuoto il mare
dell’ultima onda
quel vuoto immenso
sei Tu.
Se vuoto il cielo
di tutte le stelle,
spente le luci del mondo,
quel buio vuoto
sei Tu.
Se vuoto la mente
di tutti i pensieri
la voce d’ogni parola
quel vuoto ineffabile
sei Tu.

L’ignoto
Vorrei cavalcare l’ignoto
e come un cavallo alato
allungare il collo nel vuoto
nel mai esplorato
L’anima (se esiste)
l’immergerei nella fontana della
ritrovata giovinezza
per dare a tutti parole
d’una frizzante freschezza
Oh decriptare i messaggi celesti
intercettare angeli in estasi con
le immancabili trombe
snidarli mentre bivaccano
sopra i gelidi marmi delle tombe!
E scacciare tiranni, profeti,
feroci folle osannanti
varcare orizzonti versare
questi versi dall’alto
come monelli che annaffiano
gli adulti che passano
frettolosi e arroganti.

Il principio e la fine
Nel principio era la fine,
nella fine albeggiava il principio,
il principio e la fine
la medesima cosa.
Poi fu la grande esplosione
il tempo sgorgò dall’eterno
ciò ch’era unito
si divise.
E sulla terra comparve la vita,
la vita cominciò a fluire
sotto il segno della discordia.
Ma incompiuto il principio
va chiamando la fine,
buia e vuota la fine
grida e invoca il principio;
in un gemito solo
il principio e la fine
cercano ancora
il nulla di prima.

La giustizia
In questo tempo
niente più ci persuade
dell’ingiustizia vincente.
Consacrata nei templi, scritta
nei codici, sta di casa nei tribunali
si organizza nella nostra mente
ci tranquillizza con l’aspetto
di ciò che è stato
da sempre, del risaputo
che suscita rispetto.
Ed è l’opposto
della giustizia che combatte
grida dai tetti
infastidendo chi la sente
e versa il sangue
proprio e tra la gente
mostra il suo volto
disfatto e piangente.

Notte
Le nere pupille della notte
mi fissano, mi scrutano
sguardo angosciato dei morti.
È buio dentro me, chi piange
in fondo al cupo abisso?
Notte sventurata, notte fonda
che interroghi e sei interrogata
nessuno appare
e nessuno risponde.
Così vago nel nulla
dove il tempo e l’eterno
cancellati si ricongiungono,
discendo i fiumi, i gorghi della vita
sopra parole prive di speranza.

L’albero nudo
Di quest’albero l’inverno
ha bruciato i germogli. Inutilmente
il tiepido soffio della primavera
ha sorvolato la valle, aperto ai fiori
i teneri bocci.
Alla festa di foglie e colori
l’albero povero non è stato invitato.
Rinsecchito, invecchiato,
come un cattivo presagio
più non palpita al vento,
abbandonato dall’ombra
ferito dalla luce, diviso
da se stesso e dal mondo.
Rari uccelli sostano muti
viaggiatori smarriti,
i rami
si torcono nell’aria offendono
la solenne compostezza dei monti, la calma
linearità degli orizzonti.
Ma ecco l’autunno color d’arancio
viene il compassionevole autunno e dice:
«Sia consolato quest’albero
più non vedrà le sue foglie
una ad una cadere dai rami,
strisciare
imputridire nel fango».

Il grillo
Vado passeggiando per i campi, un grillo
sopra un sasso mi squadra, mi ferma
«Si va a spasso, eh» mi dice e mi sorride
con famigliare simpatia. «E tu che fai?»
tanto per ricambiare l’attenzione.
«Compongo di nascosto poesie. Canto
come so come posso, nessuno
mi ha insegnato, vuoi sentire?»
Mi scosto d’istinto poi considero
quanto i poeti desiderano
di essere ascoltati (e che dolori
quegli stadi gremiti
e i loro venti lettori!)
«Volentieri» rispondo
e lui rincuorato si alza
sulle zampine robuste, si mette in posizione
dietro un ciuffo d’erba, credo per pudore.
Rassegnato ascolto con rispetto
il cri-cri accorato di un sonetto.
Non è possibile abbracciare un grillo
se no di certo l’avrei fatto.
Gli ho promesso un mio libro di versi
(trovato in un remainder
ancora intatto).

Una rondine
Era arrivato l’inverno.
«Fuggi dal freddo!» sussurrò tremando
una fogliuzza ad una rondinella.
«È l’inverno che deve andar via»
rispose quella.
Così ragionando la rondine tardiva
da intirizzita era quasi stecchita.
La vide il buon Dio, commosso
come nelle favole soltanto:
«Parti in fretta» fu il Suo comando. Con un
filo di voce: «Non io, ti prego, scaccia l’inverno!»
Allora Dio
si grattò la testa facendo palpitare le stelle.
«Questa è bella, sentirò Tommaso,
se ha provato la mia esistenza
risolverà pur questo caso».
Vide il poeta che passava in fretta:
«È un altro tiro della poesia!»
Disse e meditava la vendetta.
Un frullo d’ali, per amore dell’arte
la rondine ribelle volò via.

Giardini municipali
Nei giardini municipali
spadroneggiano i cani
con i loro padroni al guinzaglio.
Ci sono pure i barboni
addormentati sulle panchine
che sognano paesi lontani.
Il loro sogno si perde
tra il verde, le merde
e i latrati dei cani.

Francesco
Oh votata alla pentola gallina
oh mite sfortunata creatura,
di cui neppur Francesco prende cura!
E tu che per un gene sei maiale
e grufoli innocente d’esser tale
sarai appeso, tutto da mangiare.
Che dire della pecora sbranata,
del lupo ch’egli andò a contattare,
dei pesci intenti a divorarsi in mare?
Diremo loro: è legge di natura
e Francesco tra voi non s’avventura?
O casta acqua
e tu fuoco giocondo
distruggerete questo mondo immondo?
E nostra sora morte corporale
sarà per noi suggello d’ogni male?

Cuore
Dammi
la combinazione del tuo cuore
ch’io possa entrarvi
senza forzamenti
e vedervi un istante i tesori
nascosti, i segreti
dei tuoi incantamenti.
Lascerò
un biglietto con scritto
il mio nome soltanto;
e l’ingenuo disegno
d’un cuore trafitto,
accanto.

La rosa
Ho sognato una rosa
che non aveva lo stelo
ad ogni istante cambiava colore
pungeva ma non dava dolore
Aveva uno strano profumo
aveva la forma d’un cuore
non era in orto o giardino
né altrove
La visitava il vento
spargendone i petali intorno
appassivano i petali
lei rifioriva ogni giorno.

Volto d’angelo
Volto d’angelo orante
da quale vagabondaggio
torni a me e sorridi
indecifrabile e pur famigliare
compagno antico di viaggio?
Da quale tolda di nave
tra le brume che si diradano
saluti e m’indichi in sogno
un’isola come un miraggio?
Nave abbrunata e senza equipaggio
dolce volto polena
accostatevi a me che v’attendo
sulla banchina deserta
per l’ultimo viaggio.

Sera d’autunno
La sera attraverso i rami
che la stagione veste
di foglie gialle e di rame
filtra nel bosco
la sua malinconia.
Un autunno ancora giovane
cautamente s’affaccia dai pallidi cieli
tinti appena di rosa, fa segno
di sostare e tacere.
Sale dal silenzio un umile
ineffabile piacere,
un desiderio sommesso
d’esserci e sparire.
Ogni cosa che vive
in dolce attesa riposa
come chi sogna e sorride
e svegliarsi non osa.

De senectute
Com’è duro il mestiere di vivere
quando la vita
ci chiede di far posto
alle vite nuove che incalzano
e intorno a noi uno ad uno muoiono
quelli che amiamo!
Guardiamo smarriti e sgomenti
questa giostra impazzita
di morti e di vivi
il mondo estraneo che ci sorpassa.
E le mille pupille del cielo
e gli occhi di tutto quello che vive
fissano impazienti e impietosi
noi tardi ostinati a restare.
Com’è duro il mestiere di vivere
quando è suonata l’ora di morire!

Negli slums
Negli slums di Parigi o di Harlem o di Rio
se non vuoi morire di fame
devi affilare le lame
lo sanno pure i bambini
vittime coltelli assassini
Da queste parti anche Dio
non si fa vedere non sarebbe prudente
si prenderebbe i fischi
della povera gente
Cristo (neppure lui sa più bene chi è)
s’aggira quaggiù le piaghe al costato
predica tra i rifiuti del tempio
il tempo d’essere ammazzato
Negli slums la bontà è sconosciuta
o forse è quella donna dipinta
ch’esce di notte e fa la prostituta
(sotto gli occhi di un avido magnaccia
che lascia lividi nell’anima
oltre che sulla faccia).
Passa rumoroso un corteo
una goffa libertà
va sventolando i suoi stracci
la guardano i potenti irridendo
i suoi sbracati messaggi
Ma qui solo resiste
una forma di vita
simile al sangue che sgorga
da una ferita.

«E l’amore?»
Amica
non so donde giunga il sussurro, forse
l’inquieto cellulare,
una simulazione del vento che s’insinua
furtivo nel mio sonno, il roco ansito
femminile del mare.
Ascolto e mi conforta
quanto dice la voce:
che dura ancora il ricordo mentre il mondo
si spegne e si dissolve.
Domandi di me poi d’improvviso
all’apparenza divaghi parli
d’albe e tramonti di quanto un giorno
teneramente guardavamo assorti
«Vita non è nel regno delle ombre»
dici sconsolata. «Oh essere ancora»
quasi gridi «nel cuore della città che pulsa
la folla che ti spinge che ti stringe
le vetrine ammiccanti che sorridono
offrendosi ai passanti!»
Cerco di consolarti senza mentire frugo
nel repertorio delle amare verità ne traggo
i molti mali della vita e per me vecchio
il consapevole declino:
«Questo per te più non esiste e resta
questa memoria che ci lega, nostra».
«E l’amore?» domandi. «Non confondere
la cenere col fuoco».
Piangi, ed io non ho risposta.

Il gioco degli scacchi

Ad Angelo Marchese

In quale isola o nuvola o Eldorado
tu m’attendi paziente,
signore delle lettere
maestro della “dama” e degli scacchi?
Da che mossa riprenderemo insieme
la nostra interminabile partita,
che interruppe un giorno
(caddero a terra
regine e re, torri, cavalli e alfieri)
il pugno prepotente della morte?
Muoverai come allora
i pezzi bianchi arditi e luminosi
delle tue certezze
a vincere i fantasmi oscuri
che attraversano inquieti la mia vita.
Poi, amico e critico indulgente,
correggerai con affetto
questi versi commossi che ti dedico.

La statua della fontana

a una sconosciuta

La statua della fontana
ha visto il cellulare levarsi
all’altezza del tuo sorriso
di buon grado
si è messa in posa
sotto gli spruzzi iridati
di una ninfa scherzosa
che t’inondavano il viso.

Congedo
Con passo tardo
per l’amato giardino
staccando qua e là
qualche foglia ingiallita
il giardiniere devoto
della villa nobile e antica, tornato
per prendere congedo da voi.
Nel viale
del giardino che ha coltivato
si guarda intorno stupito, qualcuno
che lo riconosce saluta,
una rosa si sporge
tenera e amica.

Cantique des créatures
Depuis les vallées de l’oubli
une brune impénétrable
le grand sommeil des morts
que tu enfreins ressuscité
découvrant les tombes
où nous restons à l’abri
des offenses du monde.
Pitié pitié, Seigneur
ô Tout-Puissant,
nous sommes las d’épreuves
de promesses, d’attentes
laisse-nous
à notre néant.
Une vie nous suffit
qui fut de tourments
nous ne voulons pas d’autres rêves,
d’autres règnes, d’autres
événements.
Mets fin à l’Histoire,
que la Gloire aux cieux recommence
à resplendir solitaire
efface-nous pour toujours
de ta mémoire.

Galilée
Et vint Galilée qui donna
la chair de poule aux cieux
l’enfer
ne se tenait plus de joie
«peu s’en faut»
dit Lucifer
«j’aurai sa peau».
Mais le diable
a toujours tort
il ne saura jamais
quand Dieu est mort
parce qu’il sera mort lui aussi
qui ne peut vivre
sans Lui.

Epigraffi

Li vede che passano, abietti e protervi
ed Egli, il Risorto: Per questi son morto?

Don Chisciotte

Con truccate vesti
va, lancia in resta,
il nuovo Don Chisciotte, il paladino
che tante pene
patisce per l’Impero del Bene.
L’agile fantasia
ad ogni passo nuovi mostri inventa
e contro questi s’avventa
con missili e con bombe intelligenti.
(Se poi ad innocenti
morte procura
disinvolto la chiama
«libertà duratura»).
Per l’etere lo senti
mentre chiama a raccolta
i suoi serventi
a sempre più mirabolanti imprese,
d’orfani e di donzelle alla difesa.
È servizio di Dio, grave sentenzia,
levar dal mondo
la cattiva semenza (ma l’oro nero
appare in cima ad ogni suo pensiero).
Non manca lungo il ripido sentiero il fido
scudiero Sancio Panza, e l’adorata
Dulcinea del Toboso
è una provvida banca.
O buon curato,
come facesti allora,
metti a letto se puoi
questo malato
perché torni in salute e «Deo volente»
l’infelice pianeta
sia salvato.

Se fossi morta allora

Se fossi morta allora
avresti una lapide
nel cimitero del mio cuore
e anche un piccolo cipresso
a sussurrarti i miei versi
sul nostro improbabile amore
ma tu felicemente
sei viva e fuggitiva
pur dai cancelli della mia memoria
e già disegno nel suo palinsesto
un volto nuovo, un’altra storia.

Epigraffio caudato

Plauto e Molière non ebbero ritegno
nell’infierir sull’avido Arpagone:
nato non era ancora quell’indegno
che per un dente estorceva un milione.
Ventimila per la resina e l’oro
un’ora al più di facile lavoro,
mentre gli faccio i conti a suo disdoro
dente per dente vendetta assaporo.
Ché dello studio incontrai per le scale
tutta sdentata un’orrenda megera,
avea la falce e non attese in sala
gli siede accanto sulla sedia nera.
Per un braccio l’artiglia mentre esala:
«Trenta milioni una bella dentiera!»
Io penso che morisse del pensiero
che nol pagasse con denaro vero;
ma certo ei fu pagato per intero.

Le Muse

D’alloro cinte le piccole teste
vecchie fanciulle intrepide e maldestre
Maurizia dico che per nulla mesta
va con Marian e Bianca (e quel che resta).
Ho colto della prima un verso al volo
quando chiama Leopardi tristanzuolo
dell’altra fiabe liriche un po’ sceme
l’ultima, quasi il canto mi si spegne
parlar del nulla non mi riesce bene.
Diremo allora del non verde alloro
il merito o la colpa non è loro
e ancora aggiungo, testimone il Cielo,
che non riesco a spiegarmi quel mistero.
Canzone mia va’ dalle tre Muse
e chiedi molte scuse se il nome vero
qui dietro ad un “senhal” velo e disvelo,
dì che le ho viste a un “festival”, che insieme
trovo che stanno bene, digli che io
sui loro versi veglierò amico
e spargerò l’oblio…

La farfalla

È triste vedere bianche farfalle
indifferenti posarsi
sopra la rosa e lo sterco.
Per questo, cara, più non ti cerco
e vado a caccia per un’altra valle.

Da Jules Supervielle

L’orage
Chaque arbre est immobile,
Attentif à tout bruit.
Même le peuplier tremblant retient son souffle
L’air pèse sur le dos des collines, il luit
Comme un métal incandescent et l’heure essouffle.
Les moineaux buissonniers se sont tous dispersés
Avec le vol aigu et les cris d’hirondelles,
Et des mouettes vont, traînant leurs larges ailes,
Dans l’air lourd à gravir et lourd à traverser.
L’éclair qui brille au loin semble une brusque entaille
Et, tandis que hennit un cheval de labour,
Les nuages vaillants qui vont à la bataille
Escaladent l’azur âpre comme une tour.
Mais soudain, l’arc-en-ciel luit comme une victoire
Chaque arbre est un archer qui lance des oiseaux,
Et les nuages noirs qu’un soleil jeune moire,
Enivrés, sont partis pour des combats nouveaux.

Il temporale
Ogni albero è immobile
attento a ogni rumore.
Anche il pioppo tremante
trattiene il respiro
l’aria grava sul dorso delle colline e splende
come un metallo incandescente; l’ora
è tutta trafelata.
I passeri di macchia
si sono tutti dispersi
con il volo tagliente e i gridi delle rondini,
dei gabbiani vanno,
trascinando le loro larghe ali,
nell’aria pesante da salire
e da attraversare.
Il lampo che brilla in lontananza
sembra un’improvvisa ferita
e, mentre un cavallo da tiro nitrisce,
le coraggiose nuvole che vanno alla battaglia
scalano l’azzurro arcigno come una torre.
Ma d’un tratto l’arcobaleno
risplende come una vittoria
ogni albero è un arciere
che lancia degli uccelli, le nuvole nere
che un sole giovane va marezzando,
inebriate, sono partite
per nuove battaglie.
(da Poèmes, 1919)

Prophéthie
Un jour la terre ne sera
Qu’un aveugle espace qui tourne
Confondant la nuit et le jour.
Sous le ciel immense des Andes
Elle n’aura plus de montagnes.
Même pas un petit ravin.
De toutes les maisons du monde
Ne durera plus qu’un balcon
Et de l’humaine mappemonde
Une tristesse sans plafond.
De feu l’océan Atlantique
Un petit goût salé dans l’air,
Un poisson volant et magique
Qui ne saura rien de la mer.
D’un coupé de mil-neuf-cent-cinq
(Les quatre roues et nul chemin!)
Trois jeunes filles de l’époque
Restées à l’état de vapeur
Regarderont par la portière
Pensant que Paris n’est pas loin
Et ne sentiront que l’odeur
Du ciel qui vous prend à la gorge.

Profezia
Un giorno la Terra non sarà che uno spazio cieco
che gira intorno
confondendo la notte e il giorno.
Sotto l’immenso cielo delle Ande non
vi saranno più monti, neppure
un piccolo strapiombo.
Di tutte le case del mondo
non resterà che un balconcino
e dell’umano mappamondo
una tristezza senza confine.
In fiamme l’oceano Atlantico
un retrogusto salato nell’aria,
un pesce volante e magico
che non saprà nulla del mare.
Da un coupé del 1905
(quattro ruote e nessuna strada)
tre ragazze dell’epoca
rimaste allo stato di vapore
dalla portiera guarderanno pensando
che Parigi non è lontana
e non sentiranno che l’odore
del cielo che vi prende alla gola.

A la place de la forêt
Un chant d’oiseau s’élèvera
Que nul ne pourra situer,
Ni préférer, ni même entendre,
Sauf Dieu qui, lui, l’écoutera
Disant: «C’est un chardonneret».

Dov’era la foresta
si leverà un canto d’uccello
che nessuno potrà individuare
né preferire e neppur intendere
salvo lo Spirito divino
che lui l’ascolterà dicendo
«È un cardellino».
(da Gravitations, Librairie Gallimard éditeur, 1925)

Vivant ou morte…
Vivante ou morte, ô toi qui me connais si bien,
Laisse-moi t’approcher à la façon des hommes
Il fait nuit dans la pièce où tremble un oreiller
Comme un voilier qui sent venir la haute mer,
Et je ne comprends pas si je suis l’équipage
Ou l’adieu d’un bras nu resté sur le rivage.
Ah que j’arrête un jour ta chair à la dérive,
Toi qui vas éludant mon désir et le tien.
Au large de mes mains, qu’escortent des abîmes,
Quand mes pieds pour appui n’auront qu’un frêle bruit.
Un bruit de petit jour étouffé de ténèbres
Mais capable pourtant de toucher ta fenêtre
Et de la faire ouvrir.

Viva o morta…
Viva o morta, tu che così bene mi conosci
lascia che t’avvicini alla maniera degli uomini.
È notte nella stanza ove trema un guanciale
come un veliero che avverte
l’alta marea che s’approssima
e io non comprendo se sono l’equipaggio
o l’addio d’un braccio nudo
rimasto sulla spiaggia.
Ah, ch’io fermi un giorno la tua carne alla deriva
tu che vai eludendo il mio
e il tuo stesso desiderio,
al largo delle mie mani
che scortano degli abissi
quando i miei piedi non avranno per appoggio
che un fragile brusio
un brusio di giorno che nasce soffocato da tenebre
ma tuttavia capace
di toccare la tua finestra
e farla aprire.
(da Le Forçat innocent, 1930)

Soleil
Soleil, un petit d’homme est là sur ton chemin
E tu mets sous ses yeux ce qu’il faut de lointains.
Ne sauras-tu jamais un peu de ce qu’il pense?
Ah! tu es faible aussi, sans aucune défense,
Toi qui n’as que la nuit pour sillage, pour fin.
Et peut-être que Dieu partage notre faim
Et que tous vivants et ces morts sur la terre
Ne sont que des morceaux de sa grande misère,
Dieu toujours appelé, Dieu toujours appelant,
Comme le bruit confus de notre propre sang.
Soleil, je suis heureux de rester sans réponse,
Ta lumière suffit qui brille sur ces ronces,
Je cherche autour de moi ce que je puis t’offrir,
Si je pouvais du moins te faire un jour chérir
Dans un matin d’hiver ta présence tacite,
Ou ce ciel dont tu es la seule marguerite,
Mais mon coeur ne peut rien sous l’os, il est sans voix.
Et toujours se hâtant pour s’approcher de toi,
Et toujours à deux doigts obscurs de ta lumière,
Elle qui ne pourrait non plus le satisfaire.

Sole
O Sole, un cucciolo d’uomo è là sul tuo cammino
e tu metti sotto i suoi occhi quant’occorre di lontananza.
Tu non saprai neppure una parte del suo pensiero?
Oh anche tu sei debole, senz’alcuna difesa,
o tu che non hai che la notte per giaciglio e per fine.
E può darsi che Dio condivida la nostra fame
e che tutti questi vivi e questi morti sulla terra
non siano che dei pezzi della sua grande miseria.
Dio sempre invocato. Dio che sempre chiama,
come il rumore confuso del nostro stesso sangue.
Sole, io sono felice di restare senza risposta
mi basta la tua luce che splende sopra i rovi.
Io cerco attorno a me qualcosa da offrirti,
se almeno potessi farti un giorno gustare
la tua silente presenza in un mattino d’inverno
o questo cielo di cui tu sei la sola margherita,
ma il mio cuore nulla può nella sua gabbia, è muto.
E ognora affrettandosi per avvicinarsi a te
è sempre a pochi centimetri d’oscurità dalla tua luce,
che neppure potrebbe soddisfarlo.
(da Le Forçat innocent, Librairie Gallimard éditeur, 1930)

Oublieuse mémoire
Mais avec tant d’oubli comment faire une rose,
Avec tant de départs comment faire un retour?
Mille oiseaux qui s’enfuient n’en font un qui se pose
Et tant d’obscurité simule mal le jour.
écoutez, rapprochez-moi cette pauvre joue,
Sans crainte libérez l’aile de votre coeur
Et que dans l’ombre enfin notre mémoire joue,
Nous redonnant le monde aux actives couleurs.
Le chêne redevient arbre et les ombres, plaine,
Et voici donc ce lac sous nos yeux agrandis?
Que jusqu’à l’horizon la terre se souvienne
Et renaisse pour ceux qui s’en croyaient bannis!
Mémoire, soeur obscure et que je vois de face
Autant que le permet une image qui passe…

Obliosa memoria
Ma con sì grande oblio come fare una rosa
con tante partenze come fare un ritorno?
In volo mille uccelli non fanno uno che si posa
e così grande oscurità mal si confronta col giorno.
Ascoltate, accostate questa povera guancia,
liberate senza paura l’ala dei vostri cuori
e che nell’ombra infine la nostra memoria giochi,
restituendoci il mondo dai vivaci colori.
La quercia ridiventa albero, e pianura le ombre,
ed ecco questo lago sotto i nostri occhi ingranditi?
Che fino all’orizzonte la terra ricordi e rinasca
per quanti se ne credevano banditi!
Memoria, sorella oscura e che vedo di faccia
quanto lo permette un’immagine che passa…
(da Oublieuse mémoire, Librairie Gallimard éditeur, 1949)