La vetta
Sono giunto al meriggio alla tua vetta;
ho abbracciato la tua croce nera
che affonda nella terra riarsa
e nel limpido cielo.
Altro segno non vedo o vita; il sole
brucia gli spazi, cancella i sentieri,
arresta i passi,
incide le parole
sulle lapidi bianche delle rocce.
Tutto è allucinante luce,
riverberato cielo,
impietrito silenzio.
Sola ombra alla vetta è la mia ombra immota
sorpresa in quel tuo sole come
un’improvvisa memoria;
e già spero e già tremo
che ad un tuo cenno muova;
e ricominci il tempo.
Pianto per un poeta
È la notte e s’inoltra
nel giardino dei morti.
Piano, con la lampada
schermata della luna.
Un cipresso trasale,
sogna d’essere vivo.
Con ghirlande di fiori
prore bianche di marmo
s’apprestano a salpare.
Ma le croci di ferro
spalancano le braccia
d’un destino immutabile.
Tu riposi sereno.
Tu cercavi soltanto
un sorriso e lo trovi
nella foto sbiadita
della lapide accanto.
Che nessuno cammini
se non l’ombra ed il vento.
Qui s’arrestino i passi
del presente che sale
e calpesta il passato.
Anche tu sei trascorso.
Ora il cielo ripiega
l’ali immense, si china
trasognato sul letto
del tuo sonno di pietra.
Ora un vento ripete
la tranquilla armonia
del tuo canto, s’ostina
a negarti alla morte.
Così noi che t’amammo.
Ombra dolce tra l’ombre,
cara polvere degna
d’una vita più vera.
Al regista
Non biasimarmi
se recitata la parte
indugio, se ancora mi volgo
a guardare la scena.
Perché dissi poche battute
in fretta,
senza intenderne il senso,
venuto dall’ombra stordito
in questa vampa di luci;
e mi fai cenno di uscire.
Il vento
Il vento si scagliò contro gli abeti
col suo azzurro scudiscio
e li udì che gemevano curvando
il vertice al suolo.
Il vento salì rapido il pendio
della montagna solitaria e giunse
all’alta rupe; mormorò dal tempo
un’eco di valanghe.
Il vento si levò nel fermo cielo,
aquila ardente volteggiò su sparse
mandre di nubi, dileguò; lontano
sventolò il mare i suoi vessilli bianchi
risplendenti nel sole.
Preghiera
I
Ho ammucchiato trent’anni uno sull’altro
per salire e guardare,
oltre il muro, i Tuoi segni.
Fanciullo nella casa
grande sul fiume,
se nella notte d’improvviso desto
non udivo il canto triste dell’acque,
il cuore in petto mi balzava ed era,
in quel silenzio immenso,
il cuor dell’universo.
O fragore di nubi mi chiamava
alla finestra a contemplare assorto
gli alberi folli di vento e di tenebra
brancolare ululando nella notte,
nei cupi abissi del cielo fuochi
meravigliosi accendersi ed intorno
muover l’ombre giganti delle nubi,
sentivo la presenza
e l’assenza di Te.
II
E lungamente ti ho cercato in questa
giovinezza pensosa;
nei silenzi sbiancati dei mattini,
quando in cielo agonizzano le stelle,
pallido sogno all’orizzonte fugge,
velata d’ombra, a mondi altri la luna;
nella luce accecante dei meriggi
se il sole estivo roteando brucia
e speranze e ricordi – abbandonata
la terra avvampa e appare,
per gli spazi infiniti,
ara sacrificale –
nel mortale sconforto dei tramonti,
come trema l’angoscia della notte
e sale dall’effimero all’eterno
il grido «Padre, perché m’abbandoni?»
Il cielo ha pallori improvvisi,
brividi lunghi,
ferite profonde
che grondano sangue;
e ombre che passano e restano
specchiate nel cuore.
L’ultima notte
La grande notte ha dispiegato l’ali
nere sul mondo; e vaga senza pace
per le vaste pianure del silenzio.
Potresti dirla il nulla tanto è lieve,
in lei svanisce come un sogno il volto
delle cose che furono, il sorriso
della bellezza che le rese vere.
Lungo i sentieri squallidi del tempo
già si spengono i fuochi e s’allontana il canto
delle dolci fanciulle.
La grande notte passa e nel suo volo
l’ombre dei morti.
In morte di Lidia
Di notte il lago
culla i suoi morti.
È fiorito di stelle
dentro l’acqua profonda
il suo verde giardino
intrecciato di alghe.
Li ha destati la luna,
lo splendore improvviso,
come un soffio di vita
per le liquide tombe.
Piccola Lidia,
quante dolci carezze
l’onde pietose
sul tuo bianco viso.
Il dì che sospirando
t’abbandonasti a l’acqua
il buon lago t’accolse,
t’adagiò sul molle
letto di alghe
e con amore ti cullò nel sonno.
Così posi per sempre e guardi i monti
altissimi riflessi, i verdi pini
fruscianti nel meriggio
e la splendente eternità del sole.
Quando nel lago il bel vespero specchia
pallido il volto di fanciullo mesto
indugiando s’abbevera la greggia
di rosse nubi alle tranquille sponde,
odi il suono del vento nelle valli,
lontanissima voce.
E nella notte splendono le stelle,
scende la luna a l’acqua a contemplarti;
ed in quel cielo
serenamente palpiti.
Omaggio
È più bella la luna
se nel bosco
la guardo sopra
la tua spalla bianca;
e i raggi filtrano
dai capelli sparsi.
Commiato
Quando nei silenziosi chiostri della memoria
improvvise riecheggiano voci
delle trascorse vite,
ombre intorno a noi s’adunano di quanto
palpitò un giorno al nostro sguardo e sparve,
noi simili agli dei sedendo
tra questa turba squallida di morti
sentiamo il gelo delle esistenze effimere,
la solitudine cupa di restare.
O come artisti troppo presto invecchiati,
smarrito il senso del nostro stesso spettacolo,
attendiamo, svogliati, la fine.